“ Il Covo degli Artisti “
Si cunta e si raccunta che intorno al 1600, durante la dominazione spagnola in Sicilia, nel feudo di Campobello, a metà della trazzera che collegava Canicattì con Licata, sorgeva una “Stazione di Posta” che veniva chiamata “La Figuredda”. Il suo nome era dovuto al fatto che a protezione del casolare vi era una statuetta della “Madunnuzza”, posta in una cappella votiva.
Questo luogo era molto frequentato da avventori che si fermavano li per rifocillare i cavalli e loro stessi nel viaggio che li portava da Canicattì a Licata.
A gestire “la Figuredda” vi era la famiglia di Don Cà collaborato dalla moglie e dai loro sei figli, tre maschi e tre femmine. Ognuno di loro, all’interno della struttura, aveva le proprie mansioni e il compito di servire ai tavoli era stato affidato a Giovannino e Michelino, rispettivamente di 8 e 5 anni, proprio per le loro doti di spiccata intelligenza e di abilità nel gestire i clienti.
Uno dei motivi principali per cui i viaggiatori si fermavano volentieri alla ”Figurella” era data dal fatto che veniva a loro servito il vino più buono di tutta la zona.
In quel periodo il Viceré emanò un editto in cui venivano banditi tutti gli artisti di strada perché accusati di blasfemia e di eresia, nonché veicolatori di malattie, tra cui la peste.
Proprio per questo erano state costituite delle squadre di sgherri che avevano il compito di sopprimere gli artisti e di arrestare coloro i quali non avessero denunciato la loro presenza in qualsiasi luogo del Regno.
In una fredda sera di pieno inverno, si presentò alla “Figuredda” una famiglia di artisti di strada, vecchi amici dei proprietari. La compagnia venne accolta con manifestazioni di affetto e di gioia, anche la piccola Francesca era li con loro gioiosa di rivedere Giovannino, il suo amichetto del cuore che non vedeva da circa 6 mesi.
Ma quel momento di gioia venne turbato dalla notizia dell’editto che portarono gli artisti ai loro amici, ancora ignari.
Gli artisti chiesero di essere ospitati per qualche giorno perché correva voce che proprio quella zona era stata sottoposta a rastrellamento da parte degli sgherri del Viceré.
Don Cà e i suoi, pur sapendo di rischiare, non esitarono a dare loro ospitalità, consapevoli dei pericoli cui andavano incontro, raccomandando loro di mantenere l’anonimato all’interno del locale.
Quindi, seduti al loro tavolo, si rifocillano e si preparano per andare a dormire nelle camere a 1° piano.
Nel frattempo un gruppo di sgherri entrò nella locanda per cibarsi di qualcosa e andare a dormire.
Mentre tutto andava per il verso giusto, quando ormai gli artisti erano alla fine della cena, raccolte le loro cose, si apprestavano ad andare nelle loro camere, inavvertitamente alla piccola Francesca cadde dalla propria sacca una maschera. Purtroppo la scena venne notata da uno degli sgherri che immediatamente richiamò l’attenzione dei suoi compari. Per gli sgherri fu la prova certa che quelli erano degli artisti.
Così, mentre gli artisti, ignari della scoperta, si avviarono verso le camere accompagnati da Don Cà e dalla moglie, Don Cà raccomandò ai due figli di accudire gli sgherri, i quali nel frattempo stavano già organizzando il piano per uccidere gli artisti nel sonno.
Durante questa conversazione, il piccolo Michelino, che serviva al loro tavolo, ascoltò e capì il pericolo cui andavano incontro i suoi amici artisti. Si recò preoccupato da Giovannino e gli raccontò quanto aveva sentito. Così i due fratelli decisero di agire subito.
Giovannino, senza farsi prendere dal panico e senza insospettire gli altri, rifletté sul da farsi e alla fine insieme a Michelino decisero di usare l’unica arma che avevano a disposizione: Il vino. Così iniziarono ad offrire gratuitamente agli sgherri vino a volontà fino al punto di ubriacarli, di renderli innocui e di farli sprofondare in un sonno profondo.
I due fratelli, dopo essersi accertati che gli sgherri dormivano profondamente al loro tavolo, salirono al piano superiore e avvertirono gli artisti e i loro genitori del grave pericolo incombente.
Tutti, alla notizia, presi dal panico non seppero trovare una soluzione per scongiurare il pericolo. Ma proprio in quell’istante Francesca, come in un flash, vide la statuina della Madunnuzza e realizzò che quella era l’unica soluzione. Quindi suggerì agli altri di improvvisare una scena teatrale che potesse servire per liberarsi dagli sgherri. Gli altri condivisero in pieno l’idea di Francesca e così, subito, si attivarono per mettere all’opera il loro mestiere per salvare la loro pelle e quella dei loro amici locandieri.
Così recuperarono lenzuola bianche, casseruole, mestoli, coperchi di casseruole, zolfo ed effetti pirotecnici e quant’altro potesse servire per la loro esibizione, statuetta della Madunnuzza compresa.
Scesero in gran silenzio nella locanda dove gli sgherri dormivano a “capapanza”, e dopo averli accerchiati, al “via”, inscenarono una processione di fantasmi, con la statuetta della Madunnuzza che parlando agli sgherri diceva che chiunque avesse toccato anche con un dito i suoi figli artisti, sarebbe annegato nello zolfo bollente di Belzebù. Detto questo la Madunnuzza scagliò loro delle palle di fuoco e zolfo e sparì.
Gli sgherri , ancora intonditi dal vino, sconvolti dalla visione e storditi dal fracasso prodotto dalle pentole, si diedero alla fuga per le campagne gridando ripetutamente “miraculu, miraculu, l’artisti nun si toccanu”.
I nostri amici tirarono un sospiro di sollievo, ringraziarono il cielo per il pericolo scampato e festeggiarono insieme.
Fu così che da allora si racconta che, grazie a quell’evento, gli artisti non furono più considerati “pazzi” e veicolatori di malattie ma portatori sani di cultura e di allegria.
“La Figuredda” fu ribattezzata a “Il Covo degli Artisti”.
Don Cà e la sua famiglia, strinsero un patto con tutti gli artisti e ad ognuno di loro che si trovava a passare dal loro locale, in cambio di una loro esibizione, gli veniva offerto vino a volontà, il buon vino del “Covo degli artisti”.